Spremi Frutta e Verdura Vendesi

(Per motivi di privacy, la vera identità dell’elettrodomestico in questione non può essere rivelata. Tutto il resto della storia è – ahimé – estremamente accurato. E il juice extractor ce l’ho davvero.)

L’assenza di my Mr Big non ha lasciato solo un vuoto incolmabile.

Giornate private delle tante piccole gioie quotidiane che invano cerco di riempire con interminabili ore al telefono. La partenza anticipata di my Mr Big mi ha lasciata anche con…elettrodomestici (usati) da vendere.

Al momento sono alle prese con un Juice Extractor Pulp Separator Professional Drink Maker edizione Platinum a marchio Black & Decker. Volgarmente detto spremi frutta e verdura, di quelli per i centrifugati di cetriolo e sedano che no, non ho mai provato. Una delle mie tante fissazioni salutiste che si aggiunge alla lista delle cose da dar via, perché non è che me lo posso riportare in Italia.

Qualche decina di giorni fa pubblico il mio post su craigslist, popolare giornale online di annunci vari che, ho scoperto, esiste anche in Italia.

Spremi frutta e vegetali modello Black and Decker Platinum, usato solo 1 anno (piccola bugia), ottime condizioni (parziale verità), prezzo 30 dollari (futile speranza)”.

Fruit and Vegetable Juice Extractor
Fruit and Vegetable Juice Extractor

Dopo giorni di silenzio assoluto, mi rispondono in tre:

  1. Pollicino dal Bangladesh. Praticamente avrà avuto almeno 35 anni e non riusciva ad attraversare la strada per incontrarmi al posto dell’appuntamento. Mi telefonava dall’altro lato del semaforo per dirmi che preferiva non muoversi, non si sa mai finisse col perdersi. Gli porto lo spremi frutta e verdura dall’altro lato della strada, lui lo guarda e mi dice che non è quello che si aspettava (sebbene oltre all’annuncio avessi pubblicato anche delle foto). Alla frustrazione generale aggiungete che l’appuntamento era durante la mia pausa dall’ufficio: quindi mi ritrovo a un miglio da casa, in pausa pranzo e con uno spremiagrumi che sarà pure dietetico, ma pesa e me lo devo riportare indietro. Prima transazione non andata a buon fine.
  2. Misterioso studente (o studentessa, dal nome non si capiva) della Boston University. Mi scrive con un sacco di punti esclamativi per sapere se il juice extractor è ancora disponibile. Mi lascia anche il numero di telefono perché è molto interessato (o interessata). Allora io telefono, ma non risponde. Scrivo un’email, niente. Riscrivo un’altra email, niente. Seconda transazione non andata a buon fine.
  3. Guerrigliera da mercatino dell’usato. Una comare di quelle che passano mezz’ora per farsi levare cinquanta centesimi da un prezzo di tre euro. In due giorni mi ha scritto più o meno una trentina di messaggi, per contrattare il prezzo, il luogo dell’incontro, l’orario. Non sapendo più cosa negoziare, l’altro ieri mi ha chiesto di organizzarle un modo per provare a spremere due mele e una carota alla fermata del metrò, dove voleva incontrarmi perché le era di strada. E, sebbene questa sia l’America, no: non ci sono prese elettriche per provare elettrodomestici, nelle stazioni della metropolitana!

Come è andata a finire quest’ultima transazione? Ancora non lo so. Sto aspettando la comare a casa, per farci un cocktail dietetico e provare l’extractor.

Ma alla fine mi chiedo: chi è che si compra uno spremi frutta e verdura usato?

Meno male che in America c’è un mercato per tutto.

L’America low fat

Un frappuccino dietetico...al tè verde
Un frappuccino dietetico...al tè verde

Gli Americani, per quanto possa sembrare assurdo, sono sempre a dieta.

Low fat, detox, low carb. Meglio il metodo Weight Watcher che ti insegna a dimagrire senza diete o quello Jenny Craig che ti consegna direttamente a casa i cibi precotti (non fai la spesa, non sgarri la dieta)?

Certo, i cheeseburger a 99 centesimi o le coppe di Starbucks con sciroppi, cioccolato e panna montata (insieme al caffè), potrebbero indurti a pensare che l’Americano sia estremamente indulgente a tavola. Ma facci caso, con la parolina magica “senza grassi” il gioco è fatto. E puoi farti un frappuccino (frappè di caffè con sciroppo al caramello) e un muffin da tre etti rigorosamente low fat. Grazie al latte scremato 2% e alla margarina. Ma sì, è tutta questione di trovare le ricette giuste. Io ho persino avuto come suggerimento quello di sostituire l’olio con il succo d’ananas, per condire l’insalata.

Grazie all’invenzione del low fat, gli Americani possono permettersi di mangiare a ritmo ininterrotto. Si disse che uno dei motivi per cui Euro Disneyland Paris è mezzo “fallito” fosse la struttura sottodimensionata dei ristoranti. I vari McMangio, realizzati a immagine e somiglianza di quelli made in USA, avevano pochi posti a sedere ma erano pronti a servire panini a ripetizione, mentre gli Europei volevano mangiare meno, tutti insieme e tutti alla stessa ora (guarda caso, l’ora di pranzo). Al contrario in America la tavola è apparecchiata tutto il giorno, e c’è chi pranza alle 10.30 di mattina, chi cena alle 4, chi si fa una pizza alle 6 e chi un frappuccino alle 8. In ogni caso, un portar via cinese verso le 11 di sera non te lo leva nessuno.

Il tour de force orogastrointestinale, dunque, comincia la mattina presto e nelle forme più impensabili. Un esempio? La tavola riunione del mio ufficio, ieri mattina alle 9:

  • Barrette proteiche. Un paio, a marchio South Beach, che fa molto “mangiala e diventi come Pamela Andersen Anderson in vacanza a Miami”.
    Root Beer
    Root Beer
  • Root Beer. Ambrata bevanda analcolica che si ricava dallo sciroppo di una radice (di Sassafrasso, ho letto), con aggiunta di acqua e anidride carbonica. Perché non sia mai che ti trovi a bere qualcosa senza bollicine.
  • Dr Pepper. Se la root beer è la regina della sdolcinatezza stomachevole, Dr Pepper è l’imperatore. Pure la lattina, rosso bordeaux, suggerisce quel gusto ciliegioso che fa sembrare lo zucchero amaro.
    Dr Pepper
    Dr Pepper
  • Vitamin Water. Acqua addizionata di vitamine (?). Come distinguere la vitamina C dalla B? Una è rosa fucsia, l’altra arancione con sfumature sul giallo.
  • Beef Jerky. A Roma ci sono le coppiette di maiale: strisce di carne di maiale essiccata da accompagnare con la Romanella e le ciambelle al vino. A Boston, e temo in tutti gli Stati Uniti, ci sono queste striscette di carne di mucca essiccate e confezionate, con tanto di bustina assorbi ossigeno come quella che trovi nel taschino di una borsa nuova. Si comprano dal salumiere? No. Le buste le trovi in genere al CVS, la catena di farmacia-profumeria, tra il reparto cartoleria e gli shampoo. Sì, sono commestibili.
Vitamin Water
Vitamin Water

A parte i bibitoni di caffè, Starbucks o Dunkin Donuts, la cosa più semplice sulla tavola era l’acqua.

Frizzante.

Aromatizzata al lampone.

Beef Jerky
Una busta di beef jerky

Pasta o pizza? Tutte e due!

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Si chiama “Bread Bowl Pasta” ed e’ l’ultima invenzione made in USA che sta perseguitando le mie notti insonni.

Un piatto di pasta condita alla “chicken carbonara“, “alfredo” o addirittura “mac&cheese” servita in…crosta di pane. O meglio, all’interno di una pizza dai bordi esageratamente alti.

Stravolgimento della cultura alimentare mediterranea a marchio Domino’s Pizza. Dopo il “panino ciociaro” di McDonald’s…cosa cos’altro dobbiamo “digerire”?

Casa nuova…avventure nuove

Moët & Chandon e my Mr Big
Moët & Chandon e my Mr Big

A casa “vecchia”, tra le varie disavventure, siamo rimasti senza riscaldamento e acqua calda per ben tre volte.

Sempre d’inverno. E una volta senza corrente perché stavano facendo i lavori per strada. Tanto che ci si è scongelato tutto il freezer.

Non contenti di cotante disavventure, abbiamo “voluto” inaugurare casa nuova…senza cucina funzionante. Perché il gas ce lo attaccano tra qualche giorno, e nel frattempo ci dobbiamo arrangiare.

Del resto, niente fa più americano che vivere di cibo “a portar via” in una casa senza una vera cucina. Così ieri sera, “stanchi” delle cene al ristorante – che finiscono sempre con un cannolo siciliano (per la cronaca, ho mangiato più cannoli siciliani a Boston che in tutto il resto della mia vita italiana) – io e my Mr Big abbiamo optato per una cena casareccia americana.

Come si prepara?

Si sosta il tempo dovuto davanti al bancone dei surgelati al supermercato. Non dei surgelati qualunque. Dei cibi precotti da riscaldare al microonde. Perché quello, nelle case americane, non manca mai.

Che poi, diciamocelo, fa molto donna-in-carriera-che-non-ha-tempo-per-la-cucina. Se ci aggiungete il fascino multiculturale delle confezioni di pasta Alfredo o macaroni & cheese, a rappresentare la cucina del Bel Paese, vicino allo scaffale del pollo teriyaki giapponese o in salsa curry all’indiana, diventa quasi difficile resistere alla tentazione.

Specialmente il mac&cheese, il comfort food per eccellenza negli Stati Uniti. Un piatto poco costoso, semplice da preparare e dal sapore familiare.

Vi frena l’idea di un pasto completo imbustato in una scatola di 10 centimetri quadrati, che si scalda in un piatto di similplastica in pochi minuti, e che non scotta?

Provate a rifarvi la bocca con una fettina di tiramisù e un sorso di Moët & Chandon. Regalo di my Mr Big, per brindare a casa nuova.

Curiosità

Il termine “comfort food” è entrato ufficialmente nel Webster’s Dictionary dell’inglese americano all’inizio degli anni Settanta. Per indicare una specie di “coperta di Linus” per lo stomaco, di “piatto tipico nazionale” dal sapore semplice e familiare. Se vogliamo, in Italia sarebbe la pasta e fagioli o, per me, gli spaghetti con le vongole e la torta mimosa di mamma.

Tipici comfort food made in Usa sono, oltre al macaroni and cheese, le mashed potatoes (una specie di purea), la salsa di mele (usata come dolcificante o condimento), il mitico pollo fritto, la pizza, l’inimitabile burro di arachidi, o l’americanissima colazione con uova e pancetta fritte.

Esattamente, tutta roba leggera.

Sweet Boston

Il bancone di Sweet Cupcakes
Il bancone di Sweet Cupcakes

Se digitate “cupcakes boston” su google (google.com e non google.it), il primo risultato è Sweet Cupcakes, piccola pasticceria nel cuore di Back Bay.

Precisamente sulla trafficatissima Massachusetts Avenue.

Terra di vizio per i peccatori di gola, questo negozietto di 25 metri quadri offre solo ed esclusivamente cupcake. Al cioccolato nero olandese con crema di vaniglia per i golosi tradizionalisti; con scaglie di cocco e marmellata di mango per i tipi più esotici; fino alle specialità 100% vegane, senza latte, uova né colesterolo per i salutisti. Il menù include persino “Pupcake“, cioè dolcetti all’avena per…i cani.

Ma cos’hanno di tanto speciale questi dolcetti inventati all’inizio dell’Ottocento, grassi “fiancofili” e coloranti a parte?

  • Gli Americani sono individualisti. E le cupcake sono mini-torte taglia singola. Tentazioni mono-porzione che, in realtà, nascono come torte a tutti gli effetti e in quanto tali si dividevano. Poi qualche Mr “McCupcake” deve aver deciso di volerne di più, e la stessa dose che prima serviva almeno due o tre persone oggi ne serve solo una.
  • Gli Americani sono dei bambinoni. E le cupcake sono sono di tutti i colori dell’arcobaleno, fuorché quelli che si trovano in natura. Gialli intensi e verdi smeraldo i favoriti.
  • Gli Americani sono rinomatamene taglie forti. E le cupcake aiutano.

Ok. Non solo gli Americani.

Anche io qualche domenica fa ho fatto tappa da Sweet Cupcakes, insieme a my Mr Big. E sono uscita dal locale felice come una scolaretta, con 4 cupcake in scatola di cartoncino con tanto di fiocco marrone a pois. I gusti? Cappuccino, Organica alla carota, Pioggia di cocco e Cioccolato decadente.

La confezione
La confezione

P.S. Se con quattro torte monoporzione e solo due persone non vi tornano i conti…fate finta di niente.

Incomprensioni

Una tazza scritta di Starbucks
Una tazza scritta di Starbucks

Avete appena preso un cappuccino da Starbucks e vi ritrovate scritto “WC” sulla tazza di cartone?

Tazza per tazza…non spaventatevi. Si tratta semplicemente di panna (o “Whipped Cream”)!

Una delle cose che adoro di Starbucks, infatti, è il mini-tema che ti scrivono sulla walking cup. Latte normale, parzialmente scremato, scremato o di soia, caramello, topping vari, sciroppi, salse e cremine. Tutto in apposite caselle prestampate sul cartoncino, e tutto in acronimi.

Tra cui “WC”.

Lati meno conosciuti della cultura americana

A cena col grilled cheese
A cena col grilled cheese

Stasera al Wednesday Night Fever ho fatto conoscenza con un altro dei personaggi cardini della cultura americana.

Tra i racconti sui film dell’orrore e i consigli su come procurarsi uno svenimento – e Kristina che mi diceva: “Sì, questi sono gli Americani!” – lui mi osservava quatto quatto da un angoletto.

Aspetto semplice, eppure invogliante. Sapevo che non avrei dovuto, ma non ho resistito. E gli ho dato un morso.

Parliamo del grilled cheese. Anche conosciuto sotto gli pseudonimi di cheese toastie, o toasted cheese sandwich e persino toastie pie.

In Italia la pubblicità delle sottilette kraft, il formaggio più dozzinale che abbiamo (talmente dozzinale da non essere nemmeno considerato “formaggio” – infatti, si dice “sottiletta”) ha come protagonisti cuochi più o meno abili alle prese con involtini filanti e torte salate. Qui, invece, tutto ruota intorno a un panino tostato, con dentro una fetta di formaggio perfettamente squadrata. Che, nonostante la forma standardizzata, non si acquista come le sottilette in bustine preconfezionate e incartate bensì direttamente al banco dei formaggi freschi, insieme al salame pretagliato a fette rotonde, al prosciutto cotto pretagliato a fette quadrate…ma questa è un’altra storia.

Mi chiedevo cosa fosse questo panino con la sottiletta. Fino a stasera.

Nonostante l’apparente banalità, il piatto richiede una certa preparazione in termini di ingredienti e cottura.

Primo: spalmare due fette di pane in cassetta morbido – non come il vecchio pan carré, piuttosto come il nuovo “pane del Mulino” – con una buona quantità di burro. Meglio se burro salato, visto che in America, come in gran parte dei paesi del nord Europa, il bancone del burro al supermercato è lungo circa 5 metri e puoi stare le ore a scegliere tra quello salato, battuto, non salato, acido e così via. Ma questa è un’altra storia ancora.

Una volta che le due fette di pane sono perfettamente imburrate (solo un lato per fetta, non esagerate), bisogna passarle in padella. Per conferirgli quel delicato sapore di…frittura.

Quando il pane assume un colore leggermente dorato, poggiarci sopra la fettina di formaggio, ovviamente dal lato imburrato, e coprire con la seconda fetta di pane.

Girare e rigirare in padella per qualche secondo ancora, e poi impiattare.

Quando il “toast” è ancora caldo, tagliare il pane trasversalmente fino a ottenere due triangoli.

Quello è il grilled cheese.

Ed è buonissimo. Ve lo dice una che è (o si spaccia per) intollerante al lattosio.

Curiosità
Ogni anno a Los Angeles si tiene la Grilled Cheese Invitational cook-off, competizione interamente dedicata al grilled cheese, con tanto di categorie e premi. Il più famoso grilled cheese della storia è stato venduto all’asta per 28.000 dollari. L’ingrediente segreto? La doratura del burro sul pane aveva assunto la forma della Madonna. Peccato solo che il panino fosse stato cucinato…10 anni prima!